Errare è umano, e anche i medici (e infermieri), in qualsiasi parte del mondo possono sbagliare.
Ma che cosa è un “errore medico”?
Con questo termine si intende la catena conclusiva di una serie di fattori che intervengono nel macro-processo sanitario di diagnosi e cura, producendo un danno alla salute del paziente, che in pratica impedisce o ritarda il suo effettivo ritorno a uno stato di benessere.
Da alcune indagini svolte recentemente presso le strutture ospedaliere pubbliche e private, aventi l’obiettivo di classificare gli errori più diffusi in ambito sanitario, ne è emerso che nessuna delle due ne è esente. Di seguito alcune statistiche. Su un campione di 42 strutture ospedaliere pubbliche prese in esame grazie alla disponibilità dei dati, ne è risultato che, l’errore (o presunto tale) che viene denunciato con maggiore frequenza è quello chirurgico (34,9%)
Seguono poi gli errori diagnostici (18,5%), le cadute accidentali (10,3%) e gli errori terapeutici (9,4%). Tra gli eventi che impattano con frequenza di poco inferiore, ci sono le infezioni (5,9%), gli errori durante una procedura invasiva (4,4%) e gli eventi collegati a un parto naturale o cesareo (3,9%)
Da una recente indagine è stato rilevato che su 8 milioni di persone che ogni anno vengono ricoverate negli ospedali italiani, 320 mila (il 4% circa) subiscono danni o conseguenze abbastanza gravi che potrebbero essere evitati. Di queste, una cifra variabile tra le 14 mila e le 50 mila persone muoiono a causa di errori compiuti dai medici o causati da una non adeguata organizzazione delle strutture sanitarie. Sono queste situazioni che spingono poi gli utenti a far ricorso ai tribunali, alimentando pertanto le cause giudiziarie dovute a motivi sanitari.
Attenzione, tuttavia, a non trarre delle considerazioni superficiali di questa situazione, addossando sempre la colpa degli errori in capo solo al personale sanitario. Infatti, il medico o infermiere che compie quello che viene definito errore, non sempre ne è il maggiore responsabile.
Al fine di provare a limitare i contenziosi in ambito sanitario, è stata promulgata la legge 24/2017, più famosa come legge Gelli, che ha cercato di riformare completamente la responsabilità professionale sia penale che civile, di tutti coloro che lavorano in campo sanitario nelle strutture pubbliche e private. Fino a poco prima di questo disegno di legge, infatti, un medico rischiava di essere condannato penalmente per omicidio colposo in seguito ad una complicanza avvenuta in sala operatoria.
Ed è proprio per il timore di sbagliare e finire davanti ad un giudice che i medici erano condizionati nel fare il loro lavoro e spesso questo li ha portati a sbagliare o ad evitare trattamenti complessi utili per la salute del paziente, con un moltiplicarsi di cause legali. La legge Gelli ha cercato non solo di riformare queste problematiche, ma anche di favorire una cultura di politica di gestione del rischio che consenta di intervenire a monte delle cause di errore sanitario. In molte situazioni, la responsabilità dell’errore dipende non dal fattore umano e dalla qualità della prestazione, ma anche dall’organizzazione dei sistemi aziendali e dei percorsi di diagnosi, cura ed assistenza: solo un’efficace prevenzione può tentare di ridurre le cause legali in ambito sanitario che sono un grande rischio per il personale e nel contempo un problema oneroso per asl e ospedali.
Con la legge Gelli vengono contestati al personale sanitario solamente i reati come omicidio colposo e lesioni personali, mentre al di fuori di queste due casistiche il medico viene sollevato da qualsiasi responsabilità, qualora dimostri di aver rispettato le linee guida pubblicate dall’Istituto Superiore di Sanità. Viene altresì introdotto l’obbligo di provare una conciliazione stragiudiziale prima di andare in tribunale. Comunque, anche se con questa riforma, la gestione dell’errore medico è divenuta più controllata resta fondamentale, per tutti coloro che operano nel settore sanitario, medici in primis, l’essere dotati di copertura assicurativa, che tra l’altro viene sancita come obbligo anche dallo stesso decreto legislativo.
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