Tutte le volte che un paziente si rivolge a una struttura ospedaliera con il Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.), si innescano due tipologie di responsabilità: una verso l’ospedale stesso e una verso il medico che deve curare il malato.
Se però il paziente subisce un danno per le prestazioni sanitarie che gli vengono rivolte, può intentare una causa sia alla struttura di cura che al medico stesso, per cercare di venire risarcito.
Supponendo che il paziente faccia causa solo all’ospedale, il medico non può comunque ritenersi tranquillo: la struttura ospedaliera, infatti, può sempre successivamente esercitare un’azione di rivalsa contro il suo personale medico coinvolto nel danno, se lo ritiene responsabile di quanto causato.
Cerchiamo prima di tutto di chiarire le tipologie di responsabilità che sono a carico sia dell’ospedale che del medico, nella loro delicata relazione con un paziente.
Con la famosa legge Gelli del 2017, è stato definito che tra un paziente e la struttura sanitaria, sia essa pubblica o privata, si crea un “rapporto di tipo contrattuale” in base al quale il malato chiede di essere curato e l’ospedale si impegna a fornire assistenza sanitaria.
Questo tipo di rapporto scatta nel momento dell’accettazione del paziente a essere preso in carico per le cure dall’ospedale che è tenuto a fornire i mezzi e il dovere di assistenza attraverso le prestazioni mediche necessarie.
Il medico che opera all’interno della struttura di cura attraverso il regime SSN, ha invece una responsabilità medica di tipo “extracontrattuale”, in quanto il paziente non si è rivolto direttamente a lui per farsi curare, ma in primis all’ospedale.
Questo tipo di responsabilità invece viene a meno se il paziente si rivolge privatamente o anche in intramoenia a uno specifico dottore, in quanto in questo caso il contratto che si instaura è direttamente tra le parti.
La distinzione tra responsabilità contrattuale e extracontrattuale in ambito sanitario non è un dettaglio, in quanto a seconda del tipo di responsabilità è diverso anche l’onere della prova in caso di danno generato al paziente.
Nel caso di responsabilità contrattuale è l’ospedale che ha l’onere della prova: sarà in questo caso la stessa struttura sanitaria che dovrà risarcire il paziente se non riesce a provare di non avere colpa.
In questo caso si applica l’art. 1218 c.c. (“Responsabilità del debitore”): “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta, è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
In caso di responsabilità extracontrattuale invece è il paziente che ha l’onere della prova e deve dimostrare di aver subito un pregiudizio che ha procurato il danno. È l’art. 2043 codice civile (“Risarcimento per fatto illecito”) che recita: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
Si evince chiaramente che in caso di danno sanitario subìto, è per lo più il paziente che fa causa prima di tutto all’ospedale dove è stato curato e non tanto al medico del servizio sanitario nazionale: la struttura di cura dovrà quindi provare la propria innocenza e se non riesce a dimostrarla dovrà risarcire il danno.
In seconda battuta, tuttavia, lo stesso ospedale può esercitare una successiva azione di rivalsa contro il medico responsabile dell’errore come riportato anche sopra in questo articolo.
Prima della legge Gelli in questo tipo di contestazioni , il risarcimento doveva essere suddiviso al 50% tra ospedale e medico.
Con la legge Gelli del 24/2017 alcune cose sono state modificate: sono stati introdotti limiti e paletti all’azione di regresso della struttura sanitaria.
L’art. 9 comma 1 sancisce come l’azione di regresso possa essere avviata soltanto nel caso di dolo o colpa grave del medico e non più in tutti i casi di colpa lieve.
Al comma 5 viene anche indicato che l’importo massimo dell’azione di regresso non può superare una somma pari al triplo del valore dello stipendio maggiore percepito nell’anno in cui si è verificato l’errore, oppure in quello successivo o precedente. Questo limite non viene applicato, però, in caso di dolo, cioè quando si ha una volontà consapevole di infrangere la legge, per il quale il comma non prevede limiti quantitativi.
Infine il secondo comma di questo articolo di legge chiarisce che l’azione di regresso può essere avviata dall’ospedale solo dopo che quest’ultimo abbia risarcito il paziente danneggiato, a meno che il medico non sia stato chiamato in giudizio o sia stato parte in causa della procedura stragiudiziale. Una volta versato il risarcimento, la struttura sanitaria avrà un anno di tempo dal pagamento, per rivalersi eventualmente sul medico.
Nonostante quindi la legge Gelli del 2017, che mentre si scrive questo articolo sta avendo ulteriori sviluppi come il decreto attuativo della conferenza Stato Regioni del 2022, abbia quindi arginato la responsabilità del medico in caso di danno al paziente, si evince quanto sia importante per un medico ospedaliero, avere un’adeguata assicurazione professionale che lo tuteli anche per azioni di rivalsa che il suo stesso ospedale può esercitare contro di lui.
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